BLS Safety Guide: Amianto
Guida realizzata dalla monografia redatta dal Dott. Antonio Moffa, dalla Dott.ssa Claudia Beccaria e dall’Ing. Lucrezia Giorgi dell’Unità di Terapie Integrate in Otorinolaringoiatria della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.
Nel quinquennio 2016-2020 sono stati mediamente circa 1.500 l’anno i lavoratori a cui è stata riconosciuta una malattia asbesto-correlata. Negli stessi anni, circa il 50% dei lavoratori che hanno contratto patologie asbesto-correlate ha subito una menomazione permanente non superiore al 25%, mentre il 37% dei tecnopatici è deceduto a causa della malattia professionale. Nello specifico nel 2016 la quota di lavoratori con disabilità non superiore al 25% è rimasta pressoché invariata, ma i malati con esito mortale sono saliti al 43%.
L’uso dell’amianto è stato vietato in Italia nel 1992 con la Legge n. 257, che ha fissato i termini e le procedure per la cessazione di tutte le attività di lavorazione ed estrazione di questo minerale. Dopo questa data, le uniche attività lavorative consentite, che comportano l’esposizione all’amianto, sono la sua bonifica, la sua rimozione e il suo smaltimento.
Lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato l’asbesto come sostanza cancerogena per l’uomo (Gruppo 1).
La pericolosità dell’amianto deriva dal grado di libertà delle fibre, ovvero dalla capacità dei materiali contenenti amianto di rilasciare nell’aria fibre potenzialmente inalabili. Essendo l’asbesto un materiale friabile e fibroso, è facile che vengano sprigionate nell’aria, per effetto di qualsiasi tipo di sollecitazione (lavorazione e manipolazione, vibrazioni, infiltrazioni di umidità), particelle di dimensione ridottissima che, una volta inalate, sono in grado di depositarsi negli alveoli polmonari, nei bronchi e nella pleura provocando danni irreversibili ai tessuti e l’insorgenza di malattie polmonari. Inoltre, non esistendo una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non sia pericolosa, ne deriva che l’inalazione anche di una sola fibra possa causare patologie mortali; chiaramente, un’esposizione prolungata nel tempo o a elevate quantità aumenterà esponenzialmente le probabilità di contrarre tali patologie.
La Commissione Europea ha recentemente approvato un valore limite di esposizione (o TLV) 10 volte inferiore rispetto a quello precedente (0,1 fibre/cm3), e dunque 0,01 fibre/cm3, per un riferimento di 8 ore di esposizione. Gli effetti nocivi che si verificano a seguito dell’inalazione di particelle di amianto sono derivati da meccanismi patogenetici di natura irritativa, degenerativa, cancerogena e possono determinare l’insorgere di diverse malattie.
Le patologie derivanti dalla respirazione di fibre di asbesto sono tutte caratterizzate da un lungo intervallo di tempo tra l’inizio dell’esposizione e la comparsa dei primi sintomi della malattia: tale intervallo, definito “tempo di latenza”, può in generale durare anche decenni.
Da queste patologie correlate all’esposizione all’asbesto deriva l’importanza della protezione del lavoratore che deve essere su più fronti: il lavoratore deve essere munito di un dispositivo di protezione individuale delle vie respiratorie con fattore di protezione operativo tale da garantire che l’aria filtrata presente all’interno del DPI sia non superiore a 1/10 del valore limite. L’utilizzo dei DPI deve, inoltre, essere intervallato da periodi di riposo adeguati all’impegno fisico richiesto dal lavoro e il datore di lavoro deve effettuare periodiche misurazioni della concentrazione di fibre nell’aria, riportandone i risultati nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi).
Prodotti consigliati:
Resta informato
Resta al sicuro.